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“Usabilità delle parole”: progettare messaggi dalla parte dell’utente

Già solo col titolo, l’intervento di Yvonne Bindi all’IIA Summit 2011 mi aveva conquistato. Ma ascoltare quello che ci ha raccontato su come scrivere per il web è stato illuminante e utile, oltre che divertente. E non a caso, esattamente come ho fatto io, le persone hanno votato il suo intervento come il miglior Paper del Summit, ex-equo con quello di Ian Eckert di cui vi ho già parlato su questo blog.

Usabilità delle parole” è un concetto tanto originale quanto necessario, in particolare per chi lavora coi testi brevi che devono esprimere un’idea chiara con pochissimo materiale linguistico: bisogna “progettare” parole in modo da limitare al massimo il rischio di ambiguità e ottenere la comprensione piena da parte dell’utente in piccolissime frazioni di tempo.

Indicazioni testuali e interazioni

Yvonne ci ha parlato di come le persone interagiscono con le indicazioni testuali; poi, con qualche esempio negativo e/o buffo, ha tratto degli spunti per migliorare queste interazioni e, perché no, renderle anche piacevoli.

Le parole che richiedono un alto grado di usabilità, cioè di stare completamente dalla parte dell’utente, aiutarlo ed essere al suo servizio, sono quelle che appartengono al linguaggio ma che hanno delle ripercussioni anche sulla sfera delle nostre azioni.

Un esempio? Le parole che fanno parte di un’interfaccia: esse diventano veri e propri oggetti che utilizziamo per raggiungere degli scopi. La parola “Entra” che compare su un pulsante, indica l’azione di “entrare” ma diventa anche parte fondamentale dell’oggetto che permette quell’azione.

Ci sono spazi e modi che consentono di migliorare i comportamenti degli utenti negli ambienti virtuali? Ovviamente la risposta è sì, soprattutto considerando gli esempi che Yvonne ci ha mostrato… anzi, appare chiaro che i margini di miglioramento sono enormi!

“Varco Attivo”? Varco Cattivo!

Perché a Roma il display che mostra il testo “Varco Attivo” ha fatto prendere così tante multe? Quello che il testo vorrebbe far intendere è che le telecamere registrano e quindi chi passa di lì senza permesso si vedrà recapitare una bella sanzione. Ma cosa succede nel momento in cui le persone si mettono a interpretare quelle due parole? Impiegano troppo tempo per via dell’innegabile ambiguità linguistica, e mentre pensano e restano incerti sul significato, si ritrovano già al di là delle telecamere.

Ecco quali sono i fattori che portano a dare un’interpretazione diversa da quello che “varco attivo” vorrebbe significare:

  • l’esperienza pregressa dell’utente. La stessa Yvonne ha avuto difficoltà con “Varco Attivo” per il fatto che a Perugia, dove vive e lavora, la ZTL risulta “aperta” quando si può transitare e “chiusa” quando non si può
  • l’abitudine al significato, positivo o negativo, di certe parole. Il nostro codice linguistico ci dice che un “varco” è anche un “transito”, e che una cosa “attiva” è probabilmente “aperta”.

Tutt’altro significato, e forse anche tutt’altra reazione degli utenti, avrebbe avuto il testo “Controllo Attivo”; ma resta un problema di fondo: quel messaggio ci dà informazioni sul sistema, e non su cosa noi dobbiamo fare. Considerando che a Roma le persone sono impegnate a cercare parcheggio, l’informazione da dare loro deve essere molto più immediata, e deve rispondere in modo semplice alla domanda: che cosa devo fare? “Puoi passare” o “Non puoi passare”, questa è l’informazione che la persona cerca. Questa sarebbe un’informazione ad alto grado di usabilità.

Quando un messaggio è efficace?

L’usabilità può anche essere intesa come la corrispondenza tra il mondo reale e il sistema. Un messaggio, per essere efficace, deve:

  1. parlare il linguaggio dell’utente (avete mai visto il cartello “Portura bagagli” nelle stazioni? Quante volte nella vostra vita avete usato la parola “portura”?)
  2. presentare le informazioni secondo un ordine logico e naturale
  3. riflettere il modello mentale dell’interlocutore
  4. dare un’informazione utile in quel contesto.

Un altro esempio: in un pub le persone non riuscivano mai a trovare il bagno. E pensare che, nell’unica stanza del pub, c’era un’unica porta – quella del bagno, appunto. Il fatto è che su quella porta era stato affisso il cartello “Vietato Fumare”, e il significato di “Vietato” prevaleva su tutto: sull’evidenza (c’era anche il verbo “fumare” e non “entrare”), sulla ragionevolezza (che sia vietato fumare non significa che sia vietato entrare), ecc. L’utente si fermava a quella parola e al suo significato, che nell’interpretazione diventava “vietato entrare”. Perché? Perché l’essere umano funziona al risparmio, e il cervello ci dice che una targa posta sopra una porta ha a che fare con quella porta e non con la sala.

Questo processo è insito in noi, e chi costruisce messaggi deve tenerlo in considerazione. Nel momento in cui mi accingo a interpretare un messaggio linguistico, io porto con me le mie esperienze pregresse e il mio codice linguistico culturale; elaboro il messaggio, traggo delle conclusioni e agisco – anche se spesso, come nei due esempi finora citati, compio azioni sbagliate.

Il processo di lettura non è mai lineare

Il cervello anticipa e gli occhi confermano quello che il cervello ha immaginato. Accade la stessa cosa quando ascoltiamo: cerchiamo di prevedere cosa udiremo. E’ un processo fondamentale che porta le persone a capirsi meglio, a velocizzare la comunicazione. Ecco perché esistono le collocazioni, ovvero le frasi fatte (ad esempio “fame da lupo”): perché così non perdiamo tempo nello scegliere le parole adatte ma abbiamo già dei “pacchetti” pronti all’uso. Se da una parte tali “pacchetti” possono risultare banali, dall’altra però hanno l’indubbio vantaggio di aumentare considerevolmente il grado di comprensione nel nostro interlocutore. Come ci ha detto Yvonne,

le collocazioni riducono il carico cognitivo e sono strumenti che lavorano per l’economia del linguaggio.

(Certo, ci sono persone designate a rompere le collocazioni e le convenzioni linguistiche: è quello che fanno i poeti, i pubblicitari, gli scrittori per aumentare il nostro grado di sorpresa di fronte a qualcosa che esce dalla norma).

Ci sono altri esempi che Yvonne ha citato nel suo intervento; potete trovarli nella sua bella presentazione qui sotto.

Mi piace però chiudere questo post con un’altra sua citazione diretta:

L’usabilità ha a che fare anche con la cortesia, oltre che con le parole.

 


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